La tragedia che affligge la Repubblica Democratica del Congo non sembra avere fine. Il Paese è teatro di sanguinosi conflitti dal 1960, anno dell’indipendenza dal Belgio. Da quel momento il Congo non ha mai conosciuto una pace stabile tanto che tra il 1997 e il 2003 è stato teatro di un conflitto passato alla storia come la “Prima Guerra Mondiale africana”, che vide coinvolte otto nazioni africane e 25 gruppi armati, molti dei quali attivi ancora oggi.
La devastazione degli ultimi 50 anni fa pensare alla crisi in Congo come una tra le quattro peggiori crisi in atto nel mondo accanto a Siria, Yemen e Sud Sudan.
Ma a tormentare il paese oltre all’instabilità politica si è aggiunta l’esplosione del virus Ebola (più di 300 i morti accertati e 554 i casi confermati nelle due enormi province del Kivu settentrionale e dell’Ituri) e la diffusione in varie zone del Paese della violenza che sfocia spesso in veri e propri massacri.
La previsione è che: «La crescente instabilità politica e la gigantesca crisi umanitaria nella Repubblica democratica del Congo daranno origine a una mega-crisi nel continente africano».
Ad affermarlo, Ulrika Blom, direttrice del Consiglio norvegese per i rifugiati nella Repubblica Democratica del Congo, che nei primi giorni di dicembre 2018 ha lanciato l’allarme.
Un avvertimento condiviso anche dal rapporto diffuso dai ricercatori del Centro di monitoraggio dei trasferimenti forzati interni (Idmc), da cui emerge che è il Congo il Paese con il maggior numero di sfollati interni, tanto da superare tutte le altre emergenze in corso a livello mondiale.
Questo primato è il risultato della brutale ondata di violenza iniziata nel 2016, che solo nel 2018 ha costretto oltre 1,7 milioni di persone a lasciare le proprie case.
Lo stesso Papa Francesco dopo la recita dell’Angelus il 30 dicembre ha detto:
“Cari fratelli e sorelle,
Preghiamo insieme per tutti coloro che nella Repubblica Democratica del Congo soffrono per la violenza e per l’Ebola. Preghiamo anche affinché nel Paese le elezioni si svolgano in un clima di pace e rispetto”.
Appello che non è però stato ascoltato dalle autorità visto che da lì a poco sarebbe stato proclamato il blocco delle connessioni ad Internet, l’invio dei messaggi Sms e il rinvio della pubblicazione dei risultati elettorali. Tutte decisioni che hanno incrementato la violenza, visto il timore che l’attuale presidente Kabila possa voler mantenere ancora il potere.